La carbonata: un piatto da taverna

©Photo. R.M.N. / R.-G. OjŽda

Quando parliamo di Carbonata non possiamo non citare il Maestro Martino da Como ed il suo Libro De Arte Coquinaria. Un maestro a tutti gli effetti soprattutto per il fatto che, con le sue spezie abbia creato un ponte tra Medioevo e Rinascimento. Una caratteristica della cucina medievale è proprio l’utilizzo delle spezie che la rende molto diversa dalla nostra. Chi non se le poteva permettere si accontentava di aromi locali molto semplici e super reperibili come le erbe odorose (prezzemolo, maggiorana, finocchio, issopo, menta, basilico). Non dimentichiamoci i bulbi come l’aglio, che pur essendo predominante sulle tavole popolari non veniva disdegnato su quelle dei nobili anche per le proprietà antinfiammatorie ma un poco meno per l’alitosi.

Le spezie sono ritenute l’emblema dell’alimentazione medievale, ricca di sapori forti e contrastanti, del resto fu Macrobio nel V secolo ad usare per la prima volta questo termine per indicare qualcosa di “speciale” da abbinare all’ordinario.

Perché parliamo di spezie? Perché questa ricetta ne contiene una, la cannella, tra i sapori più tipici dei piatti medievali e spesso si mescolava all’agro, come vedremo proprio con la Carbonata. Era ovviamente costosissima ma si sfruttava bene sia nel dolce che nel salato: evolveva completamente se abbinata ad un agrume.

La ricetta che vi propongo prende il nome dal tipo di cottura perché la carne in cottura di solito era posta sui carboni del camino e diventava scura. La ricetta originale dice che :

Togli la carne salata che (sia) vergellata di grasso et magro insieme, et taglia in fette, et ponile accocere ne la padella et non le lassare troppo cocere. Dapoi mittele in un piatello et gettavi sopra un pocho di zuccharo, un pocha di cannella, et un pocho di petrosillo tagliato menuto. Et similmente poi fare de summata o presutto, giongendoli in scambio d’aceto del sucho d’aranci, o limoni, quel che più ti piacesse, et farrate meglio bevere (Ma 131)

Se leggiamo attentamente la ricetta ci accorgiamo che esistono due versioni : una con l’aceto e una con gli agrumi. La domanda sorge spontanea: Perché? Ebbene una spiegazione esiste. Le fonti antiche ci menzionano l’utilizzo degli agrumi soprattutto nei contesti nobiliari, erano infatti considerati pregiati mentre l’aceto era popolare. L’ultima frase poi meglio ci fa comprendere che questa ricetta fosse riproposta in contesti da taverna e fruttasse molti soldi soprattutto in merito al bere che ne susseguiva il consumo. Quindi più la si mangiava più si beveva. Furbi eh?

La ricetta era molto simile alla braciola o brasciola, denominata Pulmentarium in carbone (PLA, 226) e che si cuocevano sui carboni, si insaporivano con il sale ed il finocchio pestato e andavano mangiate calde così da stimolare la sete (MM, c. 11r).

Testa da Todi, prevosto dei priori di Firenze per esempio aveva sempre l’abitudine di mangiare carne salata e di bere molto vino ma un giorno fu chiamato per un’emergenza dal luogotenente papale che gli consigliò di:

Per non perdere quella sua arosticciana o carbonata che vogliamo dire, mettetela in uno pane e cacciasela sotto (l’abito).

Sacchetti, 108, 3-4


Passiamo alla ricetta che vedete in foto.

E’ una Carbonata reinterpretata per una questione di gusto. La ricetta originale è comunque una preparazione veloce e vi consiglio di realizzarla con fette di pancetta di maiale o di prosciutto crudo. Se si desidera restare puristi allora sostituite le fettine con dei pezzi di pancetta da gliglia, quindi più alti, con più grasso.

Ingredienti: pancetta 5 fette, zucchero 1 cucchiaino, cannella 1 cucchiaino, mezzo limone di Amalfi o comunque di ottima qualità.

Fate dorare la pancetta in una padella oppure su una griglia, senza aggiungere grassi. Fate un’emulsione con mezzo limone, cannella e zucchero e sfumate per bene.

Una volta raggiunto un colore ambrato arrotolate le fettine e spolverate con prezzemolo tritato finemente. Io ho utilizzato della salvia freschissima ed ho grattato della scorza di limone sopra per amplificare il profumo. Il gusto è molto umami ed effettivamente si abbina bene al vino freddo oppure ad una birra bionda.

Se poi volete seguire Testa da Todi, gustatela in un panino e non credo ve ne pentirete.

Dott.ssa Claudia Fanciullo

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BIBLIOGRAFIA

E.Scianca, La cucina medievale, Olschki editore, Firenze, 2011.

Redon,Sabban,Serventi, A tavola nel Medioevo, Laterza editore, Bari, 2019.

Valentini, Mangiare medievale, Penne e Papiri edizione, Latina, 2005.

Mestro Giovane, Opera degnissima e utile per chi si diletta a cucinare. Composto per il valente Maestro Giovane, Milano, Pietro Paolo Verini, 1530, Benporat 1990, pp. 92-93, Benporat 1996, cit.; Coquatur1996, p. 298.

Ms.urbinate latino 1203, Biblioteca apostolica vaticana, Roma, Benporat ed. 1996, pp. 79-155. Maestro Martino 1994; Coquatur 1996, p.294.

Ms. dell’Archivio Storico Comunale di Riva del Garda, inventariato (1994) come “Libro di cucina del cuoco di casa Trivulzio di Milano, sec. XV“; Magistri Martini de rubeys coqui Illustrissimi domini domini Ioannis Iacobi Trivultii de modo et ordine observandi in coquina; redatto in Italia settentrionale verso la fine del XV secolo, Benporat ed, 1996, pp. 157-231.

Bartolomeo Sacchi (Platina), B.Platins Cremonensis De tuenda valetudine, natura rerum, et Popinae scientia libri decem, Albano Torimo interprete, Lione, Sebastiano Gryphio, 1541., Platina ed, 1998.

Ms. Med. 153, Library of Congress, Washington. Libro de arte coquinaria composto per lo egregio Maestro Martino coquo olim del Reverendissimo Monsignor Camorlengo et Patriarca de Aquileia; cc. 2r-65r, XV secolo, ed. Faccioli 1966.