
Quel che è certo è che già i Romani, i Greci e gli Etruschi conoscevano l’antenata della lasagna chiamata anche “lagana” formata da sottili sfoglie di pasta farcite con carne e cotte in forno. In una tomba etrusca di Cerveteri è stato addirittura trovato tutto il necessario per tirare una buona sfoglia: spianatoia, matterello, sacchetto per spolverare la farina sulla tavola, mestolo, coltello e perfino una rotella per ricavare il bordo ondulato. Se, però, le trafile in bronzo cominciano ad apparire nel 1600, l’idea di essiccare un impasto a base di farina di grano per poi reidratarlo e cuocerlo in un secondo momento ha origini ben lontane nella storia: ne abbiamo testimonianza sia presso gli Egizi che i Romani. In principio era il grano che col nome di Triticum l’uomo è riuscito ad addomesticare. I primi grani di spelta minore o farro piccolo venivano arrostiti e mangiati perchè difficili da lavorare e così fino al 4000 a.C quando si cominciarono a formare dei pani da cuocere su piastre. In epoca greco-romana fu Plinio il Vecchio a parlarci del farro per ricreare la puls, una polenta mentre l‘amilum, veniva utilizzato per i dolci essendo amido. Solo nel V sec. a.C si scelse di utilizzare il grano più tenero e facile da lavorare e quindi il Triticum aestivum andava per la maggiore soprattutto nel Nord mentre si utilizzava il Triticum turgidum per la pasta secca del Sud.
Ma andiamo avanti…
Durante il Medioevo circolano i primi termini legati alla pasta e nonostante le tante fonti resta ancora difficile riuscire a capirne l’origine perché questa, probabilmente, si è sviluppata nel corso dei secoli durante interscambi commerciali con il mondo arabo. In alcuni scritti del XV secolo si inzia a parla di gnocchi, ravioli, maccheroni e vermicelli ma nel XIV secolo troviamo il termine “lasagna” nel Liber de Coquina inteso come pasta cotta in acqua e non come bignè, che erano come le lasagne ma fritti. Poi c’erano i tortelli cotti in brodo o in acqua e i ravioli. Fu Maestro Martino a parlarci di maccaroni, vermicelli e triti così come Boccaccio. Fu nel Rinascimento che cominciarono a distinguersi le tipologie di pasta fresca con grano tenero e secca con grano duro.
Nello specifico fu la Sicilia a produrre la migliore qualità di pasta e poi Napoli, la Sardegna e Genova.
C’è da dire che durante il 400 i Taccuina Sanitatis illustravano i procedimenti di produzione e si poteva vedere come fossero le donne a lavorare i vermicelli.
Questo e molto altro troverete al Museo dedicato a questa prelibatezza. Presso la stupenda corte agricola medievale di Giarola (Collecchio), posta sulla sponda destra del fiume Taro, in asse con quella Via Francigena che conduceva i pellegrini verso la Città eterna, a fianco del già esistente Museo del Pomodoro, viene allestito il Museo della Pasta, nel contesto del più ampio circuito dei Musei del Cibo della provincia di Parma (Museo del Parmigiano Reggiano a Soragna, del Vino a Sala Baganza, del Salame a Felino, del Prosciutto e dei salumi a Langhirano) a completare un percorso di approfondimento dei più importanti prodotti alimentari del territorio.
Nell’Ottocento inizia a Parma l’attività di Barilla, oggi leader mondiale del settore, che ha contribuito in maniera determinante alla nascita del museo dedicato in sei sezioni, alla conoscenza storica, tecnologica e culturale della pasta.
La prima sezione, dedicata al grano, alle sue caratteristiche e alle modalità di coltivazione, presenta modelli, antichi attrezzi contadini e documenti che testimoniano l’evoluzione delle tecniche agricole. La seconda sezione è dedicata alla macinazione, alle varie tipologie di mulino, con modelli e iconografia storica di grande interesse, la ricostruzione di un mulino a macine e un moderno mulino a cilindri. La preparazione casalinga della pasta fresca, a cui è dedicata la terza sezione, viene raccontata attraverso piccoli attrezzi domestici, l’arte del matterello e la straordinaria varietà della più ricca collezione italiana di “speronelle”, o rotelle da pasta.
Un vero pastificio industriale della prima metà dell’Ottocento consente al visitatore, nella quarta sezione, di comprendere le varie fasi di produzione della pasta secca, con macchinari originali, perfettamente restaurati. Un secondo nucleo di macchine antiche, mostra, nella quinta sezione, le metodiche di produzione in un laboratorio artigianale emiliano del secolo scorso. La prima pressa continua, progettata dagli ingegneri parmigiani Mario e Giuseppe Braibanti nel 1933 introduce il tema dell’automazione sviluppato nella sesta sezione, con modelli e video, che presentano le attuali, modernissime tecnologie impiegate nei pastifici industriali per garantire un prodotto di alta qualità costante nel tempo.

Vi consigliamo di fare un salto, se potete, perché ne vale la pena.
Si ringrazia il Museo della Pasta e Parma nell’ambito del circuito dedicato ai musei del cibo.
Scritto da Claudia Fanciullo
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