Archeologia subacquea: le anfore parlanti

1-UNA NAVE VIENE RIMORCHIATA. RILIEVO DALLA FORTEZZA ROMANA DI CHESTER-LE-STREET (GRAN BRETAGNA);

Roma era una città popolosa che governava un vasto impero. Come centro amministrativo e centro di potere, la città dipendeva quasi completamente dalle importazioni esterne per soddisfare i suoi bisogni primari. Tutto questo ha avviato le importazioni dall’Italia, dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Spagna, dalla Gallia e infine dal Nord Africa. L’Egitto con i suoi ricchi raccolti di grano e il suo suolo fertile era della massima importanza. Dionigi di Alicarnasso afferma :

“Poiché il Tevere si allarga molto là dove si unisce al mare e forma grandi baie pari a quelle dei migliori porti marittimi; e, cosa più bella di tutte, la sua foce non è ostruita da banchi di sabbia accatastati dal mare, come accade in molti anche dei grandi fiumi, né vagando di qua e di là per paludi e paludi si spende davanti al suo ruscello si unisce al mare, ma è navigabile ovunque e si scarica per la sua unica vera foce, respingendo l’onda che viene dalla principale, nonostante la frequenza e la violenza del ponente su quella costa…

 Strabone invece:

Le città costiere appartenenti ai Latii sono, in primo luogo, Ostia: è senza porto a causa dell’insabbiamento che è causato dal Tevere, poiché il Tevere è alimentato da numerosi torrenti. Ora, sebbene sia con pericolo che le navi mercantili si ancorano lontano nell’onda, tuttavia, prevale la prospettiva di guadagno; ed infatti la buona scorta dei tender che ricevono i carichi e li riportano in cambio permette alle navi di salpare velocemente prima di toccare il fiume, oppure, dopo essere state in parte alleggerite dei loro carichi, salpano nel Tevere e nell’entroterra fino a Roma, centonovanta stadi

Era impossibile per i grandi mercantili risalire il Tevere. Le piccole navi avevano questa capacità ma difficilmente potevano farcela da sole. Dovevano essere remati o trainati. È di grande importanza che Dionigi ci dia la stazza massima delle navi che potrebbero navigare a monte. Parla di un massimo di 3.000 (unità) senza specificare a quale tipo di unità si riferisce. Probabilmente questa unità è l’anfora, che pesa circa 26 kg. Apparentemente queste navi più piccole facevano parte dell’equipaggiamento standard del porto poiché scaricavano merci dalle navi più grandi. Il tipo di nave che veniva usato per fare questi trasporti era chiamato lenunculus. Era compito dei lenuncularii occuparsi dei mercantili, probabilmente con l’assistenza dei saccarii , i portuali.

2-PIAZZALE DELLE CORPORAZIONI. STATIO 25. LENUNCOLO

Decine di relitti di navi antiche, romane, spesso vengono ritrovate sui fondali marini, in prossimità delle coste e custodiscono delle informazioni importantissime che grazie all’archeologia subacquea, riescono a venire a galla.

Quando si parla di navi onerarie, ossia incaricate del trasporto di beni commerciali, i relitti conservano il carico di anfore più o meno integro e capita, così di rinvenire tracce di liquidi e semiliquidi come vino, olio, garum (la famosa salsa di pesce), frutta secca, semi, conserve e granaglie. Si distingue il contenuto, non sempre facilmente riconoscibile, dalla forma delle anfore che le contengono. Così l’anfora panciuta e impeciata conteneva olio mentre quella meno grossa e senza pecie conteneva il vino.

Una cosa davvero curiosa era il non riutilizzo di queste anfore una volta svuotate del contenuto, infatti venivano portate nei magazzini portuali e distrutte per essere riutilizzate, se il materiale era buono, nei lavori edilizi. Pur essendo comunque molto capienti, le anfore riuscivano ad essere impilate sul fondo della nave in più piano sovrapposti, anche in numero di cento o mille.

Sulla superficie dell’anfora non era insolito trovare dei sigilli e scritte relative alle officine di produzione e ai contenuti come le famose bolle di trasporto per la tracciabilità che conosciamo bene ai nostri giorni.

La vendita dei prodotti alimentari non si limitava ai mercati stabili ma c’erano anche le botteghe di verdurai, macellai, panettieri e altre cibarie. Alcuni rilievi ci restituiscono l’aspetto dei banconi su cui si vendeva la merce, le iscrizioni ci testimoniano anche la proprietà di quei luoghi del commercio.

Il ruolo del trasporto navale via mare è indubbio quindi.

Porti attivi come Gades, Ostia, Puteoli, Alessandria e Antiochia importavano anche merci da luoghi remoti come Arabia, India, Sud-est asiatico e Cina. A volte queste merci seguivano rotte terrestri come la Via della Seta o viaggiavano via mare attraverso l’Oceano Indiano.

Tale commercio internazionale coinvolgeva anche beni di lusso come pepe, spezie, chiodi di garofano, zenzero e cannella, marmo colorato, seta, profumi e avorio.

Dall’analisi di oltre 900 relitti di epoca romana la più tipica di una nave mercantile aveva una capacità di 75 tonnellate di merce o 1500 anfore: vi erano però anche navi più grandi, in grado di trasportare fino a 300 tonnellate di merce. Un esempio interessante è il relitto di Port Vendres II degli anni ’40, situato nel Mediterraneo al largo del confine franco-spagnolo. Il carico è stato prelevato da almeno 11 mercantili diversi e conteneva olio d’oliva, vino dolce, salsa di pesce, ceramiche raffinate, vetro e lingotti di stagno, rame e piombo.

Nel periodo imperiale vi era un forte controllo statale sul commercio per garantire l’approvvigionamento ed esisteva persino una flotta mercantile statale, che sostituiva durante la Repubblica il sistema dei sussidi (vecturae) per incoraggiare gli armatori privati.

Esisteva uno specifico funzionario addetto all’approvvigionamento di grano (il praefectus annonae) che regolava le varie associazioni armatoriali (collegia navicularii). Lo Stato tassava la circolazione delle merci tra le province e controllava anche molti mercati locali (nundinae), spesso tenuti una volta alla settimana, poiché l’istituzione di un mercato da parte di un grande proprietario terriero doveva essere approvata dal Senato o dall’imperatore.

Queste misure hanno aiutato i romani a controllare il commercio, fornire garanzie sui prodotti e prevenire le frodi.

Particolarmente dettagliate sono le iscrizioni sulle anfore per l’olio d’oliva, che indicavano il peso del vaso vuoto e dell’olio aggiunto, il luogo di produzione, il nome del commerciante che le trasportava e i nomi e le firme degli ufficiali che effettuavano questi controlli.

Nonostante i controlli, il commercio era comunque completamente indipendente dallo Stato e favorito dallo sviluppo dell’attività bancaria. Esistono, infatti, delle registrazioni giunte fino a noi di mercanti che hanno contratto un prestito in un porto e lo hanno pagato in un altro una volta che le merci sono state consegnate e vendute.

Per approfondire l’argomento sulle anfore vi rimando agli articoli che trovate sul sito.

 

BIBLIOGRAFIA

Trade in the Roman World di Mark Cartwright (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Andrea Finzi;

A Companion to Food in the Ancient World, quaderni a cura di J.Wilkins e R.Nadeau (2015);

The Routledge Handbook of Diet and Nutrition in The Roman World, a cura di P.Erdkamp e C.Holleran (2019);

E.S.PrinaRicotti, L’arte del convito nella Roma antica (<<L’Erma>> di Bretschneider, Roma, 1983);

J.Andrè, L’alimentazione e la cucina nell’antica Roma, LEG, Gorizia, 2015;

http://www.ostia-foundation.org

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