Noi del team ArkeoGustus andiamo spesso in giro a ricercare quei locali che propongono piatti che raccontano una storia. Questa volta ci siamo spinti oltre ed abbiamo abbracciato un’idea di ricerca enogastronomica più antica: l’estremo Oriente.
Per questo abbiamo scelto di visitare un ristorantino sito in Cava dei Tirreni, Manko Japanese fusion, per entrare nel vivo delle sperimentazioni asiatiche.
Vi proporremo, attraverso le nostre papille gustative, quello che sperimenteremo di volta in volta per farne una recensione secondo il punto di vista della gastronomia antica e delle preparazioni che hanno una storia.
Oggi parleremo del sushi.
Il sushi, così come lo conosciamo noi, era in principio, un singolare metodo di conservazione del pesce che veniva eviscerato e salato, inserito nel riso cotto che ne permetteva lo stoccaggio e la conservazione, anche per interi mesi, grazie alla fermentazione di quest’ultimo.
Questa tecnica permise di diffondere il sushi dalla Corea/Cina fino in Giappone.
Le prime rielaborazioni risalgono al periodo Muromachi (1336-1573). Fu però solo in questa fase che si iniziò a non eliminare più il riso fermentato ma a consumarlo bollito con aceto, insieme al pesce, in un piatto chiamato Namanare.
Abbiamo scelto di condividere con voi la nostra esperienza al Manko, così da provare ad indirizzarvi verso i ristoranti più inerenti alla nostra ricerca.
La serata è iniziata con un’accoglienza molto cordiale da parte del personale, che rispetta a pieno le normative antiCovid19.
Questo per noi è davvero importante considerando che il ristoratore deve avere a cuore la salute dei propri commensali.
Ci siamo accomodati ed abbiamo sfogliato il menù: ricco, propositivo, a tratti sperimentale.
Sul punto di scegliere i piatti, lo chef si è proposto con una “piccola” degustazione a sua scelta e noi ci siamo fidati.
I primi antipasti erano molto buoni, ben impiattati e presentati ma a noi interessava il sapore: lo abbiamo trovato nel sashimi in primis, fresco, stimolante, goloso.
La selezione di fritti ha avuto il suo apice nei Takoyaki (polpettine di polpo) e molto buona la maionese piccante con la quale erano accompagnati. Gli uramaki molto colorati, una delizia per gli occhi ma con il riso poco compatto. La tradizione obbliga che il riso si compatti per essere meglio maneggiato.
Il sapore era delizioso.
Il resto della cena è proseguito in una eccessiva proposta di Maki fritti che, per quanto saporiti e ben fatti, hanno appesantito la cena. Ci saremmo aspettati una varietà ed un orizzonte di gusto più ampio considerando le scelte a base di pesce e frutta esotica riportate sul menù. Questa decisione da parte della cucina ci ha un po’ delusi. Sappiamo bene, constatandolo di persona, che la bravura di questi giovani ristoratori può raggiungere livelli molto più alti di quanto non siano già.
Avremmo gradito un sushi condito con un poco di coraggio in più, meno salse e della semplicità come tocco finale. A volte il ritorno alle origini può aprire delle porte inaspettate.
Torneremo? Sicuramente. ⭐⭐⭐/5
Dott.ssa Claudia Fanciullo
Dott. Carlo Capponcini

