Arkeorubrica – L’orto in dispensa

Storia delle fonti

Partendo dalle fonti storiche è possibile fare un’analisi certa, non solo di come si è evoluta la cucina ma anche di tutto quello che c’è dietro la produzione di eccellenze alimentari.

Catone, Columella, Varrone, Palladio sono solo alcuni dei nomi più importanti sulla trattatistica agricola.

Le prime grandi civiltà ebbero due centri: uno fu la Mesopotamia, l’altro l’Egitto. Il grande storico greco Erodoto (V secolo a.C.), cui si deve la prima descrizione dell’Egitto e della sua cultura, scrisse che l’Egitto è un «dono del Nilo»: infatti gli insediamenti umani sono quasi tutti concentrati lungo le sponde del fiume.

Nella Valle e nel Delta (che vengono anche definiti come Alto Egitto e Basso Egitto) si trova il terreno irrigabile dal fiume per mezzo di canali, e dunque coltivabile.

Il Nilo, tuttavia, è un corso d’acqua molto più regolare del Tigri e dell’Eufrate: alimentata dalle abbondanti piogge dell’Africa subtropicale e dallo scioglimento delle nevi degli altopiani etiopici, l’inondazione avveniva con sorprendente puntualità nel mese di giugno. Dapprima si verificava un lento processo d’infiltrazione, che inumidiva dal di sotto i terreni arabili. Ma verso la metà di luglio accadeva un vero e proprio straripamento del fiume che ricopriva le terre circostanti sotto due metri d’acqua. Dalla metà di settembre il fenomeno assumeva un andamento inverso: le acque si ritiravano e, verso la fine di ottobre, il Nilo rientrava nel suo
letto lasciando tutto intorno un suolo ben umidificato e soprattutto ricco di sali minerali e di detriti organici, preziosi fertilizzanti per la coltivazione.

Lavori nei campi
1279 a.C.
[Camera sepolcrale di
Sennedjem, Tebe Ovest]

Nelle settimane successive al ritiro dell’inondazione era necessario procedere rapidamente e con un impegno massacrante: bisognava zappare, arare, seminare, ricostruire argini, dighe, canali, bacini di raccolta, e fare tutto questo finché la terra rimaneva umida e fangosa, prima che i raggi infuocati del Sole la inaridissero, impedendo così di lavorarla. I contadini erano asserviti quasi completamente al potere centrale: oltre al pagamento delle tasse, essi erano infatti obbligati a effettuare i lavori necessari alla rete di irrigazione secondo i piani prestabiliti dalle autorità e dovevano cedere una parte dei raccolti perché fosse accantonata in previsione di eventuali carestie. Le loro condizioni di vita erano inoltre estremamente precarie, a causa di un’alimentazione scarsa e poco equilibrata e delle frequenti malattie infettive.

La situazione era molto simile a quella romana perché la proprietà della terra era un fattore determinante nella distinzione tra aristocratici e plebe: più terra possedeva un romano più avrebbe avuto valore sociale. I soldati stessi venivano ricompensati con terreni dai comandanti a cui giuravano fedeltà.

Con i dodici libri del De re rustica, Columella, per esempio, ci lascia una descrizione esauriente delle pratiche agricole in uso nelle aree mediterranee dell’impero. Grazie alla formazione scientifica, l’istinto di naturalista, l’esperienza diretta di agronomo e di imprenditore agricolo, compone il primo vero trattato di scienza della coltivazione. L’opera rappresenta un sistema organico, che per quasi due millenni, è stato il punto di riferimento di chi voleva applicarsi razionalmente alle attività agricole. Il pensiero di Columella propone un’ampia gamma di tecniche “avanzate” per numerose colture specializzate.
La sua è un’attività nella quale alle piccole fattorie coltivate direttamente dai cittadini romani, costretti a vendere i propri appezzamenti a causa dei lunghi anni passati nell’esercito, si sostituiscono le grandi imprese “capitalistiche”. Queste aziende, di proprietà dei patrizi o dei cavalieri, condotte con manodopera servile, sono fortemente specializzate in produzioni destinate al mercato delle grandi città dell’Impero, come Roma, Atene, Alessandria.

Cicerone, invece, difese la vita di campagna come “maestra di economia, operosità e giustizia” (parsimonia, diligentia, iustitia).

Varrone non ha in mente la piccola proprietà, ma parla ai ricchi possidenti e allevatori amanti del guadagno e del lusso.

Catone sosteneva che un’attività agricola dovesse avere:

un caposquadra, la moglie del caposquadra, dieci braccianti, un conducente di buoi, un conducente di asini, un uomo in carica del boschetto di salici, un porcaro, per un totale di sedici persone; due buoi, due asini per il trasporto dei carri, un asino per il lavoro nel mulino

L’Opus agriculturae di Palladio è invece il trattato di quindici libri che ci parla del lavoro nei campi ed è probabilmente l’ultimo autore di agronomia dell’età classica.

Insomma attraverso le fonti storiche e nel corso dei tempi scopriremo come non ci sia modo di descrivere il piacere che offre la coltivazione. Non è solo una questione di gusto e sapore ma anche di contatto con la natura: del resto, noi coltiviamo da sempre.

Dott.ssa Claudia Fanciullo

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