Nell’Egitto Faraonico qualsiasi genere di proprietà apparteneva allo Stato e cioè al Faraone che affidava la coltivazione delle terre ai suoi sudditi.
Infatti i possedimenti venivano assegnati in parte alle istituzioni templari e in parte ai nobili, affinché questi li facessero rendere con il lavoro dei contadini.
La moneta fu coniata solo in Età Tolemaica, perciò vigeva il baratto attraverso cui lo stato riscuoteva le tasse sotto forma di granaglie con le quali pagava gli impiegati, le cui attività non erano connesse con la produzione alimentare.
Con questo metodo si creava una riserva importante per l’intera nazione dalla quale attingere in tempo di carestia.
Gli addetti ai templi cominciarono a vendere le loro eccedenze sia alimentari che non, creando una sorta di commercio privato.
Questo processo avveniva soprattutto per merito delle mogli che andavano al mercato a barattare le merci, aprendo dei negozi o associandosi in bazar. Anche i contadini e i pastori desiderando migliorare la loro situazione economica, mettevano in vendita prodotti alimentari e cacciagione.
Si andò a creare una rete di scambi molto intensa: si barattava dai generi alimentari e dagli ortaggi alla frutta, dalla carne fresca a quella secca e così via.
Con il nuovo regno compaiono poi le prime attestazioni dell’esistenza di taverne, intese come case del vino e case del bere la birra, che oltre ad offrire cibo e bevande esibivano musiciste, cantanti e ballerine ed erano frequentati soprattutto da studenti.
Quindi se volessimo fare un giro nell’antico mercato egizio potremmo imbatterci in una tipica scena di baratto come si trovava nella tomba tebana di Ipuy databile XIX Dinastia, dove l’uomo vende ad una donna un sacco di legumi e due oggetti tondi, in cambio di un sacco di pesce. Oppure potremmo trovare un venditore di erbe come quello rappresentato nella tomba tebana num. 54 di Età Ramesside.

Siete pronti a salire sulla macchina del tempo?
Dott.ssa Claudia Fanciullo.