La cena a casa di Apicio così come nelle ville più importanti, iniziava molto presto. A metà pomeriggio, c’erano la musica, le danze, i triclini, gli incensi: un’atmosfera attenuata da preziosi tendaggi.
Il banchetto si protraeva fino a notte fonda quando le “secundae mensae” si trasformavano in “simposium” al quale non prendevano parte donne e bambini.
Tra i tanti banchetti, quelli voluti da Apicio erano senza dubbio fonte di ispirazione e dialogo oltre che piacere per il cibo. Coloro che frequentavano i banchetti della sua villa erano appartenenti ad una categoria sociale molto importante, del resto agli stesso era cavaliere ed esattore delle imposte.
Aveva investito, insieme ai suoi soci, nella produzione di una qualità di salsa chiamata garum sociorum, una forma di condimento di origine spagnola, la migliore in assoluto, così come ci racconta Orazio ( Sat. II 8,46).
Nello specifico, più che salsa, Apicio si era specializzato in una pasta di pesce detta “alex” più compatta fatta con le triglie aggiunte alla macerazione sul pesce gia in salatura e questo ne permetteva una maggiore conservazione.
Alle cene egli ostentata praticamente tutte le sue scoperte, le sue creazioni e raccontava anche dei metodi di conservazione che applicava per le ostriche. Utilizzava vasi lavati e bagnati con aceto e poi sigillati con la pece .
( Apicio,1,12)
Quello che sorprende da questi racconti sono le abitudini e le tradizioni, le tecniche e le considerazioni che ci portano, inevitabilmente, a considerare Apicio non un semplice gastronomo e quei banchetti non dei semplici ricevimenti.
Quando i romani venivano invitati potevano portare con sé un fazzoletto per gli avanzi, chiamato “linteum” (ma non credo che avanzasse del cibo), più che altro era abitudine racchiudere i doni elargiti durante queste meravigliose feste.
Dott.ssa Claudia Fanciullo