Il Formaggio

EXCURSUS STORICO

La leggenda narra che un mercante arabo, nell’attraversare il deserto, portò con sé, come pietanza, del latte contenuto in una bisaccia ricavata dallo stomaco di una pecora. Il caldo, gli enzimi della bisaccia e l’azione del movimento acidificarono il latte trasformandolo in “formaggio”. Latte, enzimi, movimento, acidificazione: un nesso c’è. Ma non fa storia. Stando a quella ufficiale.

C’è però un riscontro oggettivo, e anche piuttosto recente, datato 2014. Il formaggio più antico del mondo, infatti, è stato rinvenuto sul petto e sul collo di una mummia ritrovata nella parte nordoccidentale della Cina (nel deserto Taklamakan) risalente al 1615 a.C. Si trattava delle tipiche offerte fatte dai vivi ai defunti per il viaggio nell’aldilà. I grumi di formaggio sono stati trovati conservati in un ambiente quasi ermetico sui corpi di 10 mummie misteriose dell’Età del bronzo.
L’analisi dei reperti ha rivelato che si trattava di un formaggio a coagulazione lattica, trasformato quindi senza l’uso di caglio, bensì grazie all’azione di lactobacilli e saccaromiceti, per molti versi affine al kefir, derivato del latte che avrebbe origini caucasiche.
Inoltre, le analisi compiute hanno rivelato che il formaggio in questione aveva un basso contenuto di sale e che per questo poteva essere destinato ad un consumo locale. Alcuni studiosi ritengono che i tartari, i tibetani e i persiani furono i primi a cimentarsi strutturalmente nell’arte casearia, ma non esistono fonti documentali che lo attestino. Al momento la fonte più antica che testimonia con particolare precisione le fasi di lavorazione del latte è un bassorilievo sumero datato III millennio a.C. Nel “Fregio della latteria”, questo è il nome attribuito all’epigrafe, sono rappresentati dei sacerdoti impegnati nella lavorazione del latte. Fu nel 5 mila a.C. che in Italia si diffuse l’allevamento di ovini e caprini. Fonti archeologiche permettono di datare nel 2800 a.C. l’inizio della produzione di un formaggio molle.

“formaggio” è una derivazione della parola “formos”; con questa gli antichi greci solevano indicare il paniere di vimini nel quale era d’uso riporre il latte cagliato per dargli forma. Il “formos” greco divenne poi la “forma” dei romani, che a sua volta si trasformò nell’antico francese in “formage” per arrivare infine ad assumere le moderne versioni nelle varie lingue

Delle origini del formaggio se ne parla anche nella mitologia e nella letteratura greca. Secondo Omero, Zeus fu nutrito con il latte e i sublimi formaggi della capra Amaltèa, il cui corno simboleggiava la cosiddetta cornucopia dell’abbondanza. Altre fonti storiche ci informano che durante le olimpiadi, la principale fonte di energia degli atleti era del formaggio impastato con olio di oliva, farina, frutta e miele.
Il formaggio prediletto dagli antichi era in genere di latte caprino, qualche volta si degustava quello misto (ovino e caprino), quasi mai quello vaccino (ritenuto nocivo). Oltre alla “feta”, era popolare la ricotta, mischiata con erbe o miele, mentre il formaggio stagionato veniva scaldato sulle braci o grattugiato in molte ricette.

L’arte della preparazione del formaggio con l’uso anche di cagli vegetali (rametti o succo di fico, zafferano, carciofi, aceto), fu messa a punto dagli etruschi e trasmessa ai romani, che ne fecero quasi “un’industria”. Nelle tenute di campagna si produceva il formaggio, lo si consumava in loco e se ne vendeva l’eccedenza. Varrone (I sec. a.C.) menziona che la cagliata veniva fatta bollire e poi affumicare. Virgilio segnala che la razione giornaliera di pecorino dei legionari era equiparabile a 27 gr, ed aveva la funzione di ridurre la fatica.
Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), a dimostrazione dell’importanza che il formaggio ricopriva nell’alimentazione, riporta un elenco dei prodotti caseari italici più rinomati a Roma.
Nei banchetti dell’età imperiale, con il formaggio si arrivò addirittura a realizzare raffinate preparazioni culinarie. I romani portarono queste conoscenze e tecniche anche in buona parte dei loro domini, come prova la diffusione del termine “caseus” (cacio) in quasi tutte le lingue europee: dall’inglese “cheese” al tedesco “kase”, dall’olandese “kaas” allo spagnolo “queso”.
Columella nel “De Re Rustica” descrive metodi di preparazione che non si differiscono da quelli applicati nei moderni caseifici, mentre l’imperatore Diocleziano arrivò ad emettere un’ordinanza sulla salagione e commercializzazione del formaggio stagionato e di quello fresco avvolto in foglie.

Nulla però ci fa riflettere sulla produzione casearia quanto il formaggio “di fossa” tipico di Sogliano al Rubicone.

Secondo la leggenda, pare che la sua origine risalga al 1486, quando Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli, reduce da una pesante sconfitta operata dai francesi, ottenne ospitalità da Girolamo Riario, Signore di Forlì. Siccome le risorse del Signore forlivese non riuscirono a lungo a sfamare Alfonso d’Aragona e le sue truppe, i soldati cominciarono a depredare i contadini delle zone circostanti che per difendersi, presero l’abitudine di nascondere le provviste nelle fosse di arenaria. Quando, a novembre, gli eserciti partirono e non vi furono più rischi di scorrerie, i contadini dissotterrarono i loro approvvigionamenti aspettandosi di trovare del formaggio, ammuffito ma invece trovarono del formaggio che aveva cambiato le proprie caratteristiche organolettiche, acquistando un ottimo aroma. Così, per caso, venne scoperta una delle più ghiotte rarità gastronomiche della Romagna e delle Marche.

Dott.ssa Claudia Fanciullo di ArkeoGustus

Formaggio fotografato alla fiera “Enogastronomica” di Firenze 2019.
Foto di ArkeoGustus TM.

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